giovedì 19 aprile 2012

Pareggio di bilancio: ci vuole un bilancio e un welfare europei

art. 81 Cost.: non lo impone l'UE, ma chiediamo una vera Unione Europea

pubblicata da Paolo Solimeno il giorno mercoledì 18 aprile 2012 alle ore 1.26

L'introduzione del pareggio in bilancio in Costituzione, attraverso la modifica dell'art. 81 (su
http://www.riforme.info/dir-pub/approf/5395-introduzione-del-principio-del-pareggio-di-bilancio-nella-carta-costituzionale-art-81 un preciso schema di raffronto), rappresenta una preoccupazione per la sua sostenibilità economica e per gli effetti sui diritti fondamentali e l'impianto costituzionale.
La questione economica è stata ben discussa sin da quando, nel 2008, la crisi attuale è apparsa ai più una crisi della domanda, dopo lo sgonfiarsi della bolla speculativa; una contrazione cui si sarebbe dovuto reagire intervenendo sull'andamento del mercato, con manovre antiliberiste, di regolamento del mercato finanziario e intervento redistributivo ed espansivo, da politica economica keynesiana. Era l'occasione per constatare l'ovvio, mettere in discussione il neoliberismo, o l'ultraliberismo, che predicava lo smantellamento dello stato e l'esaltazione della capacità autoregolativa del mercato.
Recentemente gran parte degli economisti di tutto il mondo ha preso la parola per scongiurare l'introduzione del pareggio di bilancio nell'area UE ritenendola una scelta recessiva e fallimentare. Le obiezioni apparentemente più sensate fondano sull'accettazione del dominio del mercato speculativo, sostengono che la crisi sia dettata dalla pretesa degli investitori di rivolgersi verso titoli del debito sicuri, oppure verso titoli molto remunerativi, ovvero con differenziale di rendimento alto tanto più quanto sono indebitati e cattivi pagatori gli stati che emettono quei titoli. L'effetto però è di gravare proprio gli stati più indebitati di spese per gli interessi alte, insostenibili; per farvi fronte si indebitano e lo “spread” sale, gli interessi da pagare ai creditori (gli odiosi speculatori che lucrano sul quasi fallimento) sono sempre più alti.
Accettare questo gioco vuol dire condannarsi alla recessione, finché qualche stato estero non acquisterà tutto il sistema produttivo, azzererà i debiti, o indurrà a dichiarare il fallimento (ammettere cioè che non si può pagare, almeno parte del debito) e permetterà di ripartire.
Il governo Monti sta facendo da quattro mesi proprio questo. Gli effetti sono solo parzialmente apprezzabili: fiducia internazionale, spread leggermente calato, ora in recupero, disoccupazione in crescita, recessione in previsto contenimento, ma pur sempre recessione, pressione fiscale stabile, crisi industriali.
Una interpretazione stringente della versione originaria dell'art. 81 Cost. già permette di considerare il legislatore e il governo vincolati al principio del tendenziale equilibrio finanziario dei bilanci dello Stato, annuale e pluriennale, con il vincolo di copertura per l'esercizio corrente, anche se non per gli esercizi a venire. Già oggi comunque gli atti governativi non di natura legislativa sono sottoposti al controllo della Corte dei Conti. Così alla Corte costituzionale resta l'esame successivo di legittimità costituzionale delle norme che prevedano spese non coperte da entrate.
Si escludeva sinora che si potesse impedire l'indebitamento, strumento principe di politica economica rivolto al reperimento di risorse per politiche sociali altrimenti realizzabili solo in presenza di avanzi di bilancio: da oggi “Il ricorso all’indebitamento è consentito solo al fine di considerare gli effetti del ciclo economico e, previa autorizzazione delle Camere adottata a maggioranza assoluta dei rispettivi componenti, al verificarsi di eventi eccezionali.”
Questa formula è stata suggerita, non imposta, dalla BCE e dal Trattato fiscale UE non ancora approvato, nessuno può sostenere che vi sia oggi un obbligo di uno stato membro dell'UE di introdurre il vincolo del pareggio di bilancio in costituzione (cfr. A. Pace http://www.associazionedeicostituzionalisti.it/sites/default/files/rivista/articoli/allegati/Pace_6.pdf). L'approvazione con oltre i due terzi dei componenti il parlamento impedisce (non rende inutile, come dicono alcuni giornali in modo cialtrone) il ricorso al referendum confermativo (in questo caso sarebbe oppositivo - art. 138 Cost.).Che tutto il parlamento, compreso il PD, abbia voluto rispondere con tale zelo al fanatismo neoliberista indica un altro obiettivo: azzerare la politica, intesa come politica economica, per lasciare libero il campo ai mercati finanziari. Sarà, notava Azzariti (7.3.2012, il manifesto), uno dei lasciti più visibili dei tecnici: quando se ne andranno tornerà apparentemente la politica, ma senza poteri.La Costituzione si potrà nuovamente modificare, anche gli stessi principi di deroga (i cicli economici e gli eventi eccezionali, previa delibera delle camere) consentiranno una certa elasticità, ma l'unica via d'uscita sembra essere far tacere i broker e far parlare chi s'intende un po' di politica economica e diritto costituzionale, guardare in avanti: costruire una vera unione europea con un proprio welfare, un proprio debito pubblico e un proprio bilancio non esposto alla fragilità dei singoli bilanci statali, non ricattato quotidianamente dall'andamento delle borse e dello spread fra i tassi d'interesse, soprattutto una vera Costituzione in cui i diritti fondamentali siano obiettivo prioritario delle politiche comuni.

Nessun commento:

Posta un commento