giovedì 19 aprile 2012

sul "soggetto politico nuovo"

UNA RIFLESSIONE SUL SOGGETTO POLITICO NUOVO - di Paolo Solimeno

pubblicata da Giovani A Sinistra Fiorentini il giorno domenica 8 aprile 2012 alle ore 16.50 ·
La discussione politica di questi giorni ruota intorno all'organizzazione interna dei partiti e tocca temi che girano negli stessi paraggi: politica e partiti, organizzazione interna dei partiti, loro democraticità e trasparenza, finanziamento dei partiti, corruzione o uso privato di fondi destinati ad una collettività non controllabile, rapporto fra cittadini e istituzioni, forme della democrazia rappresentativa e ruolo della democrazia partecipativa.

Vedo nella proposta per un Soggetto politico nuovo delle analisi non sempre originali, ma fondate e condivisibili, dei difetti dei partiti e del sistema democratico istituzionale, in specie vi leggo:- istanza di riappropriazione di poteri e accessibilità delle istituzioni in favore della cittadinanza- necessità di riforma del soggetto partito- necessità di parità di genere in ogni luogo, istituzioni, vita civile e soggetti politici- recupero di analisi e prospettive del miglior federalismo- del pari una critica al mercantilismo dell'UE- attenzione allo sviluppo di tutela e accessibilità dei beni comuni

e la conclusione è che l'insieme di queste istanze non trova risposta adeguata nell'attuale sistema rappresentativo che il documento assume come non riformabile. Qualcosa di questa analisi è precisata e sviluppata da un interessante intervento di Alberto Lucarelli1, ma fondare un nuovo diritto pubblico incentrato sui beni comuni, su una diversa relazione fra cittadini e cosa pubblica, non mi sembra proprio che risolva il nodo dell'organizzazione del consenso e della costruzione della rappresentanza.

Tornando al tema dei partiti appare un po' semplicistico da un lato ritenere che i costituenti pensassero con l'art. 49 di imporre un “metodo democratico” non solo nella competizione (non violenta e rispettosa del pluralismo proprio della democrazia), ma anche nell'organizzazione interna, quindi come contenuto di un diritto degli iscritti; e che la mancata attuazione avrebbe creato un ircocervo, libero come un'associazione non riconosciuta, ricco come chi svolge funzione pubblica foraggiata dall'erario: lettura che vale solo per parte dei costituenti, mentre in sostanza dovremmo ammettere che prevalse la preoccupazione non antidemocratica, ma comunque di libertà dei partiti da controlli esterni (della magistratura).

Attuiamo l'art. 49 Cost., sono da sempre convinto che sia una strada da percorrere con urgenza e consiglio di leggere Dossetti e Calamandrei in merito e più di recente Ferrajoli. Ma non illudiamoci che con quella riforma si ottenga una rinascita morale e partecipativa.

Si registra la necessità di adeguare, anche per adempiere a norme ormai vigenti, il sistema rappresentativo introducendo elementi di democrazia partecipativa. Bene.

Una notazione provocatoria: nelle varie città italiane gli irriformabili partiti (della sinistra) sono anzitutto poco partecipati, il fatto che gli iscritti siano sostanzialmente tutti titolari di cariche interne di partito o di ruoli istituzionali rende minoranza non tutelabile efficacemente l'iscritto semplice che lotta per contare, per far vivere i propri diritti. E rende poi, in generale, la democrazia che si fondi sui partiti una finzione. Un'oligarchia. Ma se un partito della sinistra non funziona e a livello locale ha duecento o mille iscritti, possibile che la società civile non possa determinarsi a iscriversi in massa e ribaltare i rapporti, facendo prevalere l'iscritto sul funzionario? Le virtù di chi sta fuori potranno mai esercitarsi dentro, tentare di riempire quel che, prima che un vizio, è un vuoto?

Una seconda notazione: creare un “nuovo spazio pubblico allargato”, dove i bisogni dei cittadini sono accolti e rispettati senza cancellare la democrazia rappresentativa, perché dovrebbe porsi in conflitto con l'attività di un partito democratico e riformato secondo i giusti principi enunciati dal manifesto?2 Sono ormai due decenni che gli analisti più lucidi affermano che la fase in cui la democrazia sociale disegnata dalla Costituzione repubblicana ha avuto maggior vigore, più piena realizzazione, è quella in cui i tre partiti maggiori (PCI, DC, PSI) assommavano insieme 4,5 milioni di iscritti (anni '50-'60). Non c'è nostalgia di quel modello, nemmeno è auspicabile ripeterne gli errori e i limiti di democraticità dei soggetti principali, ma certo la pochezza della partecipazione dei soggetti attuali3 induce a ritenere che siano insostenibili gli attuali partiti sia come fondamento unico della democrazia delegata, sia come fonte di legittimazione delle candidature a cariche istituzionali. Ebbene, pensare non di riempirli, ma di scavalcarli affiancandovi un soggetto che non si capisce quale struttura avrà, rischia di essere l'ennesima avventura senza sbocco; salvo che riesca a fungere da polo attrattivo vero, scardinando SEL e Rif. Com. e IDV, ma la scommessa sembra per ora un puro azzardo; più verosimile che si producano liste per ora alle elezioni amministrative; poi alle politiche. Torno alla provocazione, condividendo l'ansia di intervenire su un blocco della politica che nuoce alla società: letti i numeri dei militanti dei partiti della sinistra suddetti sembrerebbe più a portata dei volenterosi promotori del “soggetto nuovo” una coordinata contaminazione degli stessi partiti che porti al loro interno voglia di trasparenza, vitalità, iniziativa politica, certo non prima di aver chiarito quale visione dei rapporti sociali ed economici ci sia dietro quell'iniziativa. Ma non vogliamo credere che solo questi ottimi compagni posseggano la sensibilità e l'ardimento necessari a costruire soggetti politici strumenti di efficace partecipazione; crediamo anzi, per esperienza diretta, che altre persone di sinistra abbiano tentato di farlo ed abbiano fallito o vi abbiano rinunciato; che in sostanza questa strada sia già stata percorsa e fatichi ad aver successo. Dubito pertanto che ci serva, purtroppo, sia l'ennesimo soggetto politico dalle buone intenzioni, sia l'ennesimo attacco alla politica rappresentativa privo di reale e circostanziata descrizione di quale alternativa si propone.

Una terza notazione: l'appello alle passioni mi appare, almeno in parte, un riferimento ad una categoria che precede e segue le questioni procedurali della democrazia rappresentativa e partecipativa. Riguarda non le regole di funzionamento della democrazia e dei soggetti che vi agiscono, ma la qualità emotiva e relazionale, umana direi, dei cittadini impegnati. E' un elemento essenziale, direi l'unico importante. Ammettiamo pure che la maggior parte dei cittadini ne siano provvisti in modo inadeguato, anzitutto i cittadini che fanno politica: che facciamo? Educhiamo le masse? Procediamo all'evangelizzazione? Non voglio deridere quest'anelito, lo condivido sinceramente, ma o chiediamo regole, o chiediamo bontà d'animo.

Le regole (l'attuazione dell'art. 49, la vera parità di genere, l'art. 51, il controllo sull'uso dei finanziamenti pubblici) servono a circoscrivere gli abusi, o anche solo il prevalere di un carattere prevaricatore, arrivista, sul remissivo, sull'inclusivo, sul generoso. Ma servono anche a rendere il gioco politico regolato, giusto, prevedibile nella forma, conforme nella sostanza al risultato del libero e regolato confronto fra volontà dei titolari dei diritti politici. E soprattutto servono a garantire che l'esercizio della sovranità popolare - non in senso demagogico, ma davvero nei limiti dell'ordinamento costituzionale pluralista e democratico - avvenga attraverso procedure che garantiscano i diritti dei singoli nell'ambito di associazioni rispettose dei principi generali dell'ordinamento civile e della Costituzione. La difficile ricerca di metodi di funzionamento e controlli e garanzie non può arrestarsi dinanzi alla richiesta di fondare un soggetto politico nuovo, anzi: dobbiamo capire da subito che il problema resta intatto ed il nuovo soggetto nasce con le stesse difficoltà, per quanto buone siano le intenzioni.

Paolo Solimeno
giuristi democratici

Pareggio di bilancio: ci vuole un bilancio e un welfare europei

art. 81 Cost.: non lo impone l'UE, ma chiediamo una vera Unione Europea

pubblicata da Paolo Solimeno il giorno mercoledì 18 aprile 2012 alle ore 1.26

L'introduzione del pareggio in bilancio in Costituzione, attraverso la modifica dell'art. 81 (su
http://www.riforme.info/dir-pub/approf/5395-introduzione-del-principio-del-pareggio-di-bilancio-nella-carta-costituzionale-art-81 un preciso schema di raffronto), rappresenta una preoccupazione per la sua sostenibilità economica e per gli effetti sui diritti fondamentali e l'impianto costituzionale.
La questione economica è stata ben discussa sin da quando, nel 2008, la crisi attuale è apparsa ai più una crisi della domanda, dopo lo sgonfiarsi della bolla speculativa; una contrazione cui si sarebbe dovuto reagire intervenendo sull'andamento del mercato, con manovre antiliberiste, di regolamento del mercato finanziario e intervento redistributivo ed espansivo, da politica economica keynesiana. Era l'occasione per constatare l'ovvio, mettere in discussione il neoliberismo, o l'ultraliberismo, che predicava lo smantellamento dello stato e l'esaltazione della capacità autoregolativa del mercato.
Recentemente gran parte degli economisti di tutto il mondo ha preso la parola per scongiurare l'introduzione del pareggio di bilancio nell'area UE ritenendola una scelta recessiva e fallimentare. Le obiezioni apparentemente più sensate fondano sull'accettazione del dominio del mercato speculativo, sostengono che la crisi sia dettata dalla pretesa degli investitori di rivolgersi verso titoli del debito sicuri, oppure verso titoli molto remunerativi, ovvero con differenziale di rendimento alto tanto più quanto sono indebitati e cattivi pagatori gli stati che emettono quei titoli. L'effetto però è di gravare proprio gli stati più indebitati di spese per gli interessi alte, insostenibili; per farvi fronte si indebitano e lo “spread” sale, gli interessi da pagare ai creditori (gli odiosi speculatori che lucrano sul quasi fallimento) sono sempre più alti.
Accettare questo gioco vuol dire condannarsi alla recessione, finché qualche stato estero non acquisterà tutto il sistema produttivo, azzererà i debiti, o indurrà a dichiarare il fallimento (ammettere cioè che non si può pagare, almeno parte del debito) e permetterà di ripartire.
Il governo Monti sta facendo da quattro mesi proprio questo. Gli effetti sono solo parzialmente apprezzabili: fiducia internazionale, spread leggermente calato, ora in recupero, disoccupazione in crescita, recessione in previsto contenimento, ma pur sempre recessione, pressione fiscale stabile, crisi industriali.
Una interpretazione stringente della versione originaria dell'art. 81 Cost. già permette di considerare il legislatore e il governo vincolati al principio del tendenziale equilibrio finanziario dei bilanci dello Stato, annuale e pluriennale, con il vincolo di copertura per l'esercizio corrente, anche se non per gli esercizi a venire. Già oggi comunque gli atti governativi non di natura legislativa sono sottoposti al controllo della Corte dei Conti. Così alla Corte costituzionale resta l'esame successivo di legittimità costituzionale delle norme che prevedano spese non coperte da entrate.
Si escludeva sinora che si potesse impedire l'indebitamento, strumento principe di politica economica rivolto al reperimento di risorse per politiche sociali altrimenti realizzabili solo in presenza di avanzi di bilancio: da oggi “Il ricorso all’indebitamento è consentito solo al fine di considerare gli effetti del ciclo economico e, previa autorizzazione delle Camere adottata a maggioranza assoluta dei rispettivi componenti, al verificarsi di eventi eccezionali.”
Questa formula è stata suggerita, non imposta, dalla BCE e dal Trattato fiscale UE non ancora approvato, nessuno può sostenere che vi sia oggi un obbligo di uno stato membro dell'UE di introdurre il vincolo del pareggio di bilancio in costituzione (cfr. A. Pace http://www.associazionedeicostituzionalisti.it/sites/default/files/rivista/articoli/allegati/Pace_6.pdf). L'approvazione con oltre i due terzi dei componenti il parlamento impedisce (non rende inutile, come dicono alcuni giornali in modo cialtrone) il ricorso al referendum confermativo (in questo caso sarebbe oppositivo - art. 138 Cost.).Che tutto il parlamento, compreso il PD, abbia voluto rispondere con tale zelo al fanatismo neoliberista indica un altro obiettivo: azzerare la politica, intesa come politica economica, per lasciare libero il campo ai mercati finanziari. Sarà, notava Azzariti (7.3.2012, il manifesto), uno dei lasciti più visibili dei tecnici: quando se ne andranno tornerà apparentemente la politica, ma senza poteri.La Costituzione si potrà nuovamente modificare, anche gli stessi principi di deroga (i cicli economici e gli eventi eccezionali, previa delibera delle camere) consentiranno una certa elasticità, ma l'unica via d'uscita sembra essere far tacere i broker e far parlare chi s'intende un po' di politica economica e diritto costituzionale, guardare in avanti: costruire una vera unione europea con un proprio welfare, un proprio debito pubblico e un proprio bilancio non esposto alla fragilità dei singoli bilanci statali, non ricattato quotidianamente dall'andamento delle borse e dello spread fra i tassi d'interesse, soprattutto una vera Costituzione in cui i diritti fondamentali siano obiettivo prioritario delle politiche comuni.

venerdì 13 aprile 2012

L'accordo sulla legge elettorale del "governissimo" può apparire un timido passo avanti rispetto al Porcellum.
http://espresso.repubblica.it/dettaglio/fermiamo-la-truffa-firmata-abc/2178216
Possiamo anche ritenere che sia una truffa su tutti i fronti (premi, uninominale NON alla tedesca, indicazione premier, riforma cost. preliminare quindi un probabile blocco). Non credo però che sia un difetto la mancanza di scelta del premier, tocco della C di Casini.
Infatti i tre campioni del Mattarellum sono partiti subito lancia in resta contro l'accordo ABC:
http://www.lettera43.it/attualita/riforma-legge-elettorale-no-al-trasformismo_4367547188.htm

Una riflessione sul "soggetto politico nuovo"

UNA RIFLESSIONE SUL SOGGETTO POLITICO NUOVO - di Paolo Solimeno

pubblicata da Giovani A Sinistra Fiorentini il giorno domenica 8 aprile 2012 alle ore 16.50 ·
La discussione politica di questi giorni ruota intorno all'organizzazione interna dei partiti e tocca temi che girano negli stessi paraggi: politica e partiti, organizzazione interna dei partiti, loro democraticità e trasparenza, finanziamento dei partiti, corruzione o uso privato di fondi destinati ad una collettività non controllabile, rapporto fra cittadini e istituzioni, forme della democrazia rappresentativa e ruolo della democrazia partecipativa.

Vedo nella proposta per un nuovo soggetto politico delle analisi non sempre originali, ma fondate e condivisibili, dei difetti dei partiti e del sistema democratico istituzionale, in specie vi leggo:- istanza di riappropriazione di poteri e accessibilità delle istituzioni in favore della cittadinanza- necessità di riforma del soggetto partito- necessità di parità di genere in ogni luogo, istituzioni, vita civile e soggetti politici- recupero di analisi e prospettive del miglior federalismo- del pari una critica al mercantilismo dell'UE- attenzione allo sviluppo di tutela e accessibilità dei beni comuni

e la conclusione è che l'insieme di queste istanze non trova risposta adeguata nell'attuale sistema rappresentativo che il documento assume come non riformabile. Qualcosa di questa analisi è precisata e sviluppata da un interessante intervento di Alberto Lucarelli1, ma fondare un nuovo diritto pubblico incentrato sui beni comuni, su una diversa relazione fra cittadini e cosa pubblica, non mi sembra proprio che risolva il nodo dell'organizzazione del consenso e della costruzione della rappresentanza.

Tornando al tema dei partiti appare un po' semplicistico da un lato ritenere che i costituenti pensassero con l'art. 49 di imporre un “metodo democratico” non solo nella competizione (non violenta e rispettosa del pluralismo proprio della democrazia), ma anche nell'organizzazione interna, quindi come contenuto di un diritto degli iscritti; e che la mancata attuazione avrebbe creato un ircocervo, libero come un'associazione non riconosciuta, ricco come chi svolge funzione pubblica foraggiata dall'erario: lettura che vale solo per parte dei costituenti, mentre in sostanza dovremmo ammettere che prevalse la preoccupazione non antidemocratica, ma comunque di libertà dei partiti da controlli esterni (della magistratura).

Attuiamo l'art. 49 Cost., sono da sempre convinto che sia una strada da percorrere con urgenza e consiglio di leggere Dossetti e Calamandrei in merito e più di recente Ferrajoli. Ma non illudiamoci che con quella riforma si ottenga una rinascita morale e partecipativa.

Si registra la necessità di adeguare, anche per adempiere a norme ormai vigenti, il sistema rappresentativo introducendo elementi di democrazia partecipativa. Bene.

Una notazione provocatoria: nelle varie città italiane gli irriformabili partiti (della sinistra) sono anzitutto poco partecipati, il fatto che gli iscritti siano sostanzialmente tutti titolari di cariche interne di partito o di ruoli istituzionali rende minoranza non tutelabile efficacemente l'iscritto semplice che lotta per contare, per far vivere i propri diritti. E rende poi, in generale, la democrazia che si fondi sui partiti una finzione. Un'oligarchia. Ma se un partito della sinistra non funziona e a livello locale ha duecento o mille iscritti, possibile che la società civile non possa determinarsi a iscriversi in massa e ribaltare i rapporti, facendo prevalere l'iscritto sul funzionario? Le virtù di chi sta fuori potranno mai esercitarsi dentro, tentare di riempire quel che, prima che un vizio, è un vuoto?

Una seconda notazione: creare un “nuovo spazio pubblico allargato”, dove i bisogni dei cittadini sono accolti e rispettati senza cancellare la democrazia rappresentativa, perché dovrebbe porsi in conflitto con l'attività di un partito democratico e riformato secondo i giusti principi enunciati dal manifesto?2 Sono ormai due decenni che gli analisti più lucidi affermano che la fase in cui la democrazia sociale disegnata dalla Costituzione repubblicana ha avuto maggior vigore, più piena realizzazione, è quella in cui i tre partiti maggiori (PCI, DC, PSI) assommavano insieme 4,5 milioni di iscritti (anni '50-'60). Non c'è nostalgia di quel modello, nemmeno è auspicabile ripeterne gli errori e i limiti di democraticità dei soggetti principali, ma certo la pochezza della partecipazione dei soggetti attuali3 induce a ritenere che siano insostenibili gli attuali partiti sia come fondamento unico della democrazia delegata, sia come fonte di legittimazione delle candidature a cariche istituzionali. Ebbene, pensare non di riempirli, ma di scavalcarli affiancandovi un soggetto che non si capisce quale struttura avrà, rischia di essere l'ennesima avventura senza sbocco; salvo che riesca a fungere da polo attrattivo vero, scardinando SEL e Rif. Com. e IDV, ma la scommessa sembra per ora un puro azzardo; più verosimile che si producano liste per ora alle elezioni amministrative; poi alle politiche. Torno alla provocazione, condividendo l'ansia di intervenire su un blocco della politica che nuoce alla società: letti i numeri dei militanti dei partiti della sinistra suddetti sembrerebbe più a portata dei volenterosi promotori del “soggetto nuovo” una coordinata contaminazione degli stessi partiti che porti al loro interno voglia di trasparenza, vitalità, iniziativa politica, certo non prima di aver chiarito quale visione dei rapporti sociali ed economici ci sia dietro quell'iniziativa. Ma non vogliamo credere che solo questi ottimi compagni posseggano la sensibilità e l'ardimento necessari a costruire soggetti politici strumenti di efficace partecipazione; crediamo anzi, per esperienza diretta, che altre persone di sinistra abbiano tentato di farlo ed abbiano fallito o vi abbiano rinunciato; che in sostanza questa strada sia già stata percorsa e fatichi ad aver successo. Dubito pertanto che ci serva, purtroppo, sia l'ennesimo soggetto politico dalle buone intenzioni, sia l'ennesimo attacco alla politica rappresentativa privo di reale e circostanziata descrizione di quale alternativa si propone.

Una terza notazione: l'appello alle passioni mi appare, almeno in parte, un riferimento ad una categoria che precede e segue le questioni procedurali della democrazia rappresentativa e partecipativa. Riguarda non le regole di funzionamento della democrazia e dei soggetti che vi agiscono, ma la qualità emotiva e relazionale, umana direi, dei cittadini impegnati. E' un elemento essenziale, direi l'unico importante. Ammettiamo pure che la maggior parte dei cittadini ne siano provvisti in modo inadeguato, anzitutto i cittadini che fanno politica: che facciamo? Educhiamo le masse? Procediamo all'evangelizzazione? Non voglio deridere quest'anelito, lo condivido sinceramente, ma o chiediamo regole, o chiediamo bontà d'animo.

Le regole (l'attuazione dell'art. 49, la vera parità di genere, l'art. 51, il controllo sull'uso dei finanziamenti pubblici) servono a circoscrivere gli abusi, o anche solo il prevalere di un carattere prevaricatore, arrivista, sul remissivo, sull'inclusivo, sul generoso. Ma servono anche a rendere il gioco politico regolato, giusto, prevedibile nella forma, conforme nella sostanza al risultato del libero e regolato confronto fra volontà dei titolari dei diritti politici. E soprattutto servono a garantire che l'esercizio della sovranità popolare - non in senso demagogico, ma davvero nei limiti dell'ordinamento costituzionale pluralista e democratico - avvenga attraverso procedure che garantiscano i diritti dei singoli nell'ambito di associazioni rispettose dei principi generali dell'ordinamento civile e della Costituzione. La difficile ricerca di metodi di funzionamento e controlli e garanzie non può arrestarsi dinanzi alla richiesta di fondare un soggetto politico nuovo, anzi: dobbiamo capire da subito che il problema resta intatto ed il nuovo soggetto nasce con le stesse difficoltà, per quanto buone siano le intenzioni.

Paolo Solimeno
giuristi democratici

giovedì 15 marzo 2012

Capitalismo o costituzione

di Paolo Solimeno (questo pezzo solo apparentemente vetero è uscito il 16 febbraio 2012 su Asilo Politico, inserto settimanale del Nuovo Corriere di Firenze - gli altri articoli ora on line su www.ilnuovocorriere.it ) La convivenza fra capitalismo e democrazia costituzionale è divenuta ormai illusoria? E la Carta che dal 1948 promette una repubblica democratica fondata sul lavoro è un elenco di buone intenzioni, un programma rivoluzionario o un tentativo di regolare le spinte predatorie dei nazionalismi e del potere industriale e finanziario in funzione di una società pacifica, prospera egualitaria e plurale?
Purtroppo si può rispondere a questi interrogativi confermando la validità del disegno costituzionale solo in un ambito di ragionevolezza che i più miopi fautori del mercato senza regole sembrano rifiutare invocando ulteriore deregulation.
Il settore più devastato è quello del diritto del lavoro che in questi anni ha subito un deciso stravolgimento delle regole del confronto, contrattuale e giudiziale, fra impresa e lavoratore che è stato conformato dal Costituente sulla constatazione di una divisione sociale in cui il soggetto debole necessita di 1. diritti inviolabili, 2. strumenti di contrattazione, 3. facilità di accesso a tutele coercitive o riparatorie, il tutto in funzione dell’attuazione del principio di uguaglianza sostanziale tra i cittadini.
Una delle mutazioni più insidiose è realizzata con il tentativo di ridurre il Giudice del lavoro a certificatore della legittimità degli abusi perpetrati dai contratti e della inapplicabilità delle tutele ancora vanamente previste dalla legislazione nazionale, ma anche dall’art. 16 della Carta dei diritti UE.
Sappiamo - ce ne darà ennesima prova la Grecia - che le ricette dell’austerity conducono alla recessione. La crisi del sistema finanziario e bancario mondiale, quindi della struttura del capitalismo contemporaneo, può imputarsi all’avidità degli operatori e al fallimento dell’autodefinizione mefistofelica di “forza che perpetuamente pensa il male e fa il bene”, ci ricorda Giorgio Ruffolo.
Dopo che avremo appurato che “il bene” non si produce spontaneamente (ammoniva J.M. Keynes, ripete oggi Richard Posner), oltre ad esercitare la critica morale dovremo attrezzarci. Dovremo dotarci di regole che consentano l’esercizio delle libertà economiche nei limiti dei principi di dignità, libertà e sicurezza: è il caso emblematico dell’art. 41 Cost. che il Berlusconi thatcheriano voleva cambiare e che Monti e Fornero vogliono scavalcare esaltando la libertà d’impresa e chiedendo che si liberalizzi, si privatizzi, si riducano le tutele dei lavoratori.
Spetta a economisti e giuristi dire che l’art. 18 dello Statuto e l’art. 41 Cost. non impediscono lo sviluppo economico, spetta alla politica attuare la Costituzione vigente per contribuire a quella forma di democrazia in cui la separazione fra capitale e lavoro non genera disuguaglianza e sfruttamento.